martedì 13 novembre 2012

Ma come fa uno squalo a valere 12 milioni di dollari?


«Nell’arte contemporanea i soldi complicano e influenzano tutto e tutti». È quanto ha affermato l’economista britannico Don Thompson, autore di un saggio in cui ha recentemente indagato i meccanismi che consentono a talune opere d’arte contemporanea di raggiungere quotazioni da capogiro. Lo squalo in formaldeide dell’artista britannico Damien Hirst si può portare come l’esempio significativo. Per comprendere oggi il mercato dell’arte contemporanea non si deve mai dimenticare in quale contesto vivono e agiscono i suoi personaggi: da una parte gli artisti, protagonisti del mondo dell’arte ma spesso anche dei rotocalchi e del jet set; dall’altro gli acquirenti, il più delle volte milionari che investono delle fortune in arte conducendo complesse operazioni di mercato e di immagine. Per esempio, Steve Cohen, il magnate americano che ha pagato lo squalo imbalsamato di Hirst ben 12 milioni di dollari, gestisce un fondo di investimento, guadagna oltre 500 milioni di dollari l’anno ed espone la sua collezione d’arte nelle sue residenze. Nessuno si scandalizza più di fronte al fatto che l’arte contemporanea, soprattutto quella prodotta da artisti ancora viventi, è frutto di creatività ma anche, per usare un’espressione del settore, di “brandizzazione”: non c’è artista oggi che non aspiri a diventare un marchio ben riconoscibile, a “brandizzarsi”. Il brand, che sul mercato è appunto il marchio, in arte è quell’insieme di segni facilmente identificabili che riconducono a un nome: come dire che le sculture a forma di palloncino sono Koons, gli animali in formaldeide sono Hirst. Più il nome è famoso, più l’artista è una “star dell’arte”, più le opere aumentano le loro quotazioni sul mercato. Questo ovviamente non toglie nulla al valore degli artisti: il solo brand, chiariamolo, non basta. Ma sarebbe sciocco semplificare il quadro dell’arte contemporanea ignorando che il brand è oggi un valore aggiunto. Come scrive acutamente Thompson, «il concetto di branding è di solito associato a prodotti di consumo e consente di acquisire affidabilità. Una Mercedes offre la rassicurazione del prestigio, Prada quella dell’eleganza. Anche l’arte brandizzata funziona così. Può capitare che gli amici sgranino gli occhi se dite loro “Ho pagato quella statua di ceramica 5,6 milioni di dollari”. Ma nessuno obietterà nulla se dite “l’ho presa da Sotheby’s”, oppure “è il mio nuovo Jeff Koons”. Il branding di successo ha avuto un’influenza notevole nel far salire le quotazioni delle opere e continuerà a esercitarla ancora a lungo». Il punto è che le quotazioni degli artisti contemporanei più noti continueranno a salire. Anche i prezzi dell’arte, insomma, sono alimentati dal cosiddetto “effetto di irreversibilità”: le quotazioni di certi artisti sono oramai “irreversibili” e non scendono, possono solo progredire verso l’alto. D’altro canto, il numero dei miliardari è in continua crescita e così quello dei collezionisti. E fino a quando le opere d’arte saranno in grado di garantire uno status sociale, gli artisti potranno continuare a produrre opere dalle altissime quotazioni.
Giuseppe Nifosì

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