Verso il 1475, Antonello da Messina,
straordinario pittore siciliano del XV secolo, dipinse una piccola tavola raffigurante
San Gerolamo nello studio, che oggi,
con nostra grande invidia, è conservata alla National Gallery di Londra. L’artista
volle rappresentarvi il santo come un umanista del Quattrocento, seduto nella sua
“zona studio” ricavata all’interno di un monumentale e singolare interno gotico:
un oggetto d’arredo architet-tonico degno del più efficace design contemporaneo. Do-po aver girovagato con lo sguardo dal mobile scrittoio, carico di occhiali, penne
e boccette di inchiostro, ai libri, posati con cura sugli scaffali, chiusi,
aperti, ammucchiati, ci accorgiamo che Gerolamo non è solo: nella stanza si
trovano alcuni animali. A sinistra c’è un gatto che sonnecchia. A destra, un po’
nascosto nella penombra, un leone gironzola come un grosso cane tra le colonne
del vasto ambiente vuoto. In quel contesto ci sembra francamente fuori posto. Altrettanto
singolare è la presenza, in primo piano, di due paciosi volatili che sembrano
appena sfuggiti a una voliera. Si tratta di una pernice e di un pavone. Accanto
ad essi, si trova una bacinella di rame colma d’acqua. Serve ad abbeverare i
pennuti? Siccome in pittura, e soprattutto in quella medievale e
rinascimentale, nulla viene rappresentato per caso, escludiamo che si tratti di
bizzarrie d’artista. Cioè, non è ragionevole pensare che Antonello, accortosi
che gli era rimasto dello spazio vuoto, abbia deciso di riempirlo così. Per
quanto riguarda il leone, la faccenda è semplice. Secondo una leggenda, Gerolamo,
che visse da eremita nel deserto, tolse una spina dalla zampa del felino e l’animale,
riconoscente e grato, gli divenne così devoto da seguirlo ovunque. Insomma, nei
quadri in cui c’è il santo facilmente si trova anche il suo leone domestico. Più
misterioso è il resto del serraglio e lì, per svelare il mistero, bisogna un po’
masticare di iconologia. Tutti questi animali sono altrettanti simboli che
rivelano il tono aulico dell’intera composizione: il leone, aneddoti a parte, è
simbolo della forza bruta vinta dalla pietà. La pernice allude alla fedeltà a
Cristo, il pavone è simbolo della sapienza divina; l’acqua del catino richiama
l’idea della purezza: e fedeltà, sapienza e purezza sono tutte virtù di cui Gerolamo
è l’emblema. Un vecchio eremita coltissimo e saggio. Ma la cosa non finisce
qui. L’opera, infatti, presenta due livelli di lettura, in un continuo rimando
dall’uno all’altro a testimonianza della profonda vivacità intellettuale di
Antonello. Pernice e pavone hanno una doppia valenza simbolica, poiché la prima
è anche considerata simbolo di stoltezza, il secondo di superbia, mentre
l’acqua, usata come specchio, è anche simbolo di vanità. E del resto sono
elementi collocati fuori dall’ambiente in cui si trova il santo e cioè sulla
cornice architettonica ma verso lo spettatore: ciò significa che stoltezza,
superbia e vanità sono escluse dalla vita di Gerolamo e non oltrepassano la
soglia del tempio della conoscenza. Anche il gatto, che sonnecchia ma può
svegliarsi all’improvviso e colpire, simboleggia i bassi istinti da cui è bene
guardarsi.
Giuseppe Nifosì
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